«Il calabrese vuole essere parlato. Bisogna parlargli come a un uomo che ha sentimenti, doveri, bisogni, affetti: insomma, come a un uomo» diceva Corrado Alvaro.
Intendeva che il calabrese non ha bisogno che si parli di lui, ma con lui. Che gli si rivolga, che lo si ascolti. Solo allora risponderà, avrà fiducia del suo interlocutore, con i termini propri della sua identità, come quel “favorite”, che tanto colpì Mons. Giancarlo Maria Bregantini, trentino, vescovo di Locri dal 1994 al 2008.
«Le virtù dei calabresi è l’accoglienza. La prima parola che ho imparato da loro, ventidue anni fa, venendo in treno con un amico, quando ci siamo trovati senza pane, perché il viaggio era più lungo del previsto, è stata: “Favorite”».
Il popolo calabrese fugge dalla sua terra, ma accoglie anche, e molto, in essa. Non c’è calabrese che non apra la sua porta allo straniero, dalla dimensione personale a quella comunitaria: chi arriva qui, per mare e per terra, lo sa bene.
È una radice profonda questo senso di accoglienza, a tratti “spudorato”… la storia ce lo porta in dono, frutto tenace dei tanti momenti ormai dimenticati che hanno innestato questo sentimento nel cuore dei calabresi.
«Il popolo calabrese ha virtù generose, ridotte ormai allo stretto mondo familiare, e questa è la leva delle sue conquiste, – afferma ancora Alvaro. – Ha un senso della giustizia e di rispetto della persona umana e di sé, estrema reazione a quanto di umiliante ha dovuto subire».
Per questo può dire con sommessa semplicità “Favorite”.