Sono dette “Kore” o “Persefoni”, “pupazze” invece nel loro nome popolare.
Sono le figure femminili formate dall’intreccio sapiente di rami di ulivo, canne, fiori e frutti, protagoniste di un antico rito che intreccia cultura pagana e fede cristiana nella domenica delle palme di Bova.
Nell’antico borgo dell’Aspromonte, nel cuore dell’area grecanica, si celebra, infatti, una delle tradizioni più ancestrali e suggestive della Pasqua calabrese.
Preparate nei giorni precedenti, le pupazze vengono portate in processione per le vie del paese, benedette, e poi divise e distribuite ai presenti, come segno di buon augurio.
Alcune grandi e altre più piccole e leggere, sono le rappresentazioni di Demetra e Persefone, le divinità pagane, madre e figlia, che dominano il passaggio delle stagioni; simbolo del ciclo della natura, segnano la fine dell’inverno e la gioia della primavera.
Un rito che affonda le radici in una cultura ben più antica, transitando nella civiltà magno-greca e poi in forma cristiana, visto che nella zona sono state rinvenute testimonianze archeologiche non solo del culto delle dee greche, ma anche della Dea Madre di età neolitica.
Le pupazze di Bova non sono le uniche personificazioni femminili legate alla Pasqua in Calabria. Le “corajisime” sono piccole bambole di pezza e legno, fissate su un’arancia o una patata, diffuse nel catanzarese e nel cosentino. Hanno conficcate sette penne di galline, come le domeniche della quaresima, e sono appese ai balconi, alle finestre e agli usci, subito dopo Carnevale. Le penne che vengono tolte ogni settimana segnano l’avvicinarsi della Pasqua ed esse quindi, per il periodo di penitenza, vigilano sull’astinenza e sul digiuno. Ma un po’ buffe e un po’ terrifiche, allontanano anche il malocchio e gli spiriti maligni, propiziando l’arrivo della bella stagione e una buona semina.
Dunque, bentornate…
Kore, la giovinezza, l’innocenza, la leggerezza…
Persefone, la terribile, silenziosa Signora del Regno dei Morti.